Dicembre 2024

Ci sono ricascato … ICT e AI in Africa

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Ci sono ricascato. Dove? In Africa, naturalmente: il vizietto non mi ha affatto abbandonato e, anzi,
sono sempre più coinvolto e convinto.

Un progetto che parte da lontano

No, non si tratta di caccia grossa, magari anche solo con la macchina fotografica: se volete capire un po’ meglio il mio approccio (che poi ho scoperto di essere quello di molti altri amici che sto imparando a conoscere), potete iniziare dall’articolo che ho scritto a marzo (https://www.adrflow.it/varie/sviluppo-intelligenza-artificiale-machine-learning-in-africa) per l’appunto appena tornato dal mio primo viaggio in Kenya di quest’anno.
Nel frattempo, però, le cose non sono state ferme: i contatti presi a marzo hanno dato i loro frutti, coinvolgendone altri, facendo meeting su Internet per fare brain-storming, organizzarsi, condividere idee di progetti, preparare la strada ad una nuova missione, che per l’appunto si è concretizzata alla fine di novembre. Troppo corta, purtroppo: gli impegni in eLabor, tra cui la partecipazione al Red Hat Summit Connect di Milano, appena prima di partire, e poi la necessità di chiudere delle attività prima della fine dell’anno, mi hanno lasciato solo 10 giorni (8 sul suolo keniano) per raccogliere i risultati del lavoro fatto ed impostare quello (tanto) ancora da fare.

Vi racconto chi ho incontrato…

Intanto, però, ho incontrato gruppi di persone eterogenei, ma molto determinati: come l’associazione delle donne e dei giovani della contea di Baringo, ad esempio, che stanno cercano di impiantare delle filiere produttive per i contadini ed i pescatori della zona e sognano di farlo con strumenti ICT ed AI innovativi, oppure i gruppi organizzati e le cooperative di contadini della contea di Vihiga, già decisamente più avanti nella realizzazione dello stesso sogno (non fatevi ingannare, se guardate qualche fotografia, dall’aspetto povero e dimesso: poveri sono, ma il cervello ce l’hanno fino, ve l’assicuro, così come non manca certo loro la determinazione).
Poi ho incontrato i gesuiti di Nairobi, che stanno organizzando un corso di laurea che contribuirà alla formazione dei nuovi manager di cui il Kenya ha bisogno per far decollare la propria capacità di dare lavoro, beni e servizi di qualità a persone, imprese e pubbliche amministrazioni. Non per niente, è nato anche uno “spin-off” che punta a diventare un Digital Hub e col quale abbiamo iniziato a progettare le modalità per la nostra collaborazione prossima futura. Infine, altri imprenditori coi quali attivare proficue collaborazioni per entrambi.

e quello che ho notato

Sono state tutte occasioni in cui ho potuto verificare come l’approccio che ho descritto nel mio ultimo articolo (https://www.adrflow.it/uncategorized/framework-per-progetti-ict-ai-mettere-i-problemi-al-centro/) sia da una parte fondamentale e dall’altra abbia in sé la capacità di motivare tutti questi gruppi di persone, pur così eterogenei: naturalmente, ciascuno secondo la sua preparazione ed il livello di sviluppo del suo progetto.
Una cosa che ho notato e che anche quelli che sono più lontani dalla meta, dopo un primo momento in cui hanno avuto una reazione del tipo “non pensavo che fosse così difficile”, hanno capito che sicuramente è impegnativo, ma è anche possibile e, anzi, avere una buona metodologia, che non nasconde gli ostacoli, ma che predispone le cose per il loro superamento, è molto stimolante e promettente.

Ci sono poi altri avvenimenti che sono successi dopo il mio ritorno e che mi hanno ancora più convinto della bontà di questa scelta di guardare a sud, ma ve ne parlerò in un prossimo articolo; per il momento state sicuri: il continente africano ed il particolare la zona dell’Est Africa ce ne faranno vedere delle delle belle nei prossimi anni! 

Paolo Mascellani

Framework per Progetti ICT/AI: Mettere i problemi al centro

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Nel mio ultimo articolo su questo blog sostenevo che bisogna mettere al centro i problemi che si vogliono risolvere, non le tecnologie che si vogliono adottare, anzi, di per sé, non si dovrebbe neppure voler adottare una tecnologia, ma trovare le tecnologie corrette a partire dal problema, ma questa è tante volte solo teoria: in pratica, molto spesso si parte avendo già in testa delle tecnologie, e non è neppure sbagliato, se comunque si mantiene il focus sul problema.

Ho fatto cenno anche ad un framework concettuale che può essere utilizzato nei progetti del tipo “ICT/AI for good”. Questo framework, in realtà, può essere utilizzato in qualsiasi progetto ICT/AI che semplicemente abbia la pretesa di avere un effetto positivo; personalmente e come azienda, sono gli unici progetti che mi interessano.

Le fasi del framework

Cosa prevede quindi questo framework per progetti ICT/AI? Non si tratta di colpi di genio, ma solo di ragionevolezza (e scusate se è poco!). Suggerisce in sostanza di strutturare il progetto secondo queste fasi:

  1. Esplorazione
  2. Design
  3. Implementazione
  4. Valutazione

Qui sento subito “ribollire” lo spirito che anima alcuni miei amici, innamorati, come me, delle tecniche agili: se si vuole essere agili (e vogliamo, perché in questo modo aumentano significativamente le probabilità che il progetto vada a buon fine) non dobbiamo considerarle come fasi separate eseguite una volta sola in stretta sequenza, ma come fasi eseguite ciclicamente. Ci sarebbe molto da dire a questo proposito, ma ora mi interessano altre considerazioni, quindi abbandono questo interessantissimo tema.

Esplorazione: cosa significa esplorare il problema?

Il framework suggerisce diverse attività fondamentali durante la fase di esplorazione:

Individuare ed ingaggiare i “portatori di interesse” (stakeholder)

Le persone e le organizzazioni che hanno un interesse nel problema che vogliamo affrontare (il problema, appunto, non le tecnologie) hanno una sensibilità ed una visione, oltre che una conoscenza, molto più approfondita della nostra e sono imprescindibili per capirlo meglio e, in definitiva, per il successo del progetto. Qualche tempo fa, mi è stato proposto un progetto di AI avanzata che doveva servire a supporto delle cooperative di pesca dell’Adriatico: ho aderito con entusiasmo ed ho chiesto di incontrarne almeno una: la freddezza con cui sono stato accontentato avrebbe dovuto mettermi sull’avviso, ma, comunque, non ci volle molto, una volta individuato l’interlocutore, per capire che il “portatore di interesse” … non aveva alcun interesse nella cosa. Facile immaginare che il progetto sia finito male.

Definire il problema

Una buona definizione di un problema dovrebbe descrivere il problema nelle sue caratteristiche essenziali, senza troppi dettagli e sicuramente senza riferimento alle tecnologie che si pensa di potere o dovere utilizzare; inoltre, dovrebbero essere individuati i dati necessari e menzionati esplicitamente gli stakeholder (almeno quelli “chiave”, quelli cioè che possono determinare il successo o il fallimento del progetto); cosa molto importante, bisognerebbe che contenesse almeno un’idea abbastanza chiara, se non una vera e propria definizione formalizzata, di cosa si intende per successo del progetto, qualcosa che, alla fine dovrebbe permettere di dire appunto se l’obiettivo è stato raggiunto o no.

Determinare se l’AI o la specifica tecnologia che si pensa di adottare porti un effettivo vantaggio rispetto alle tecnologie tradizionali con cui il problema viene affrontato

Proprio ieri, sono stato a visitare un possibile cliente; abbiamo parlato di tecnologia, ovviamente, ma avevo chiesto in anticipo che mi facessero visitare la linea produttiva, proprio per avere l’occasione di “esplorare” il problema. Ad un certo punto, intelligentemente, uno dei miei interlocutori mi ha chiesto quale fosse il reale vantaggio di utilizzare le reti neurali ed il machine learning per quel problema invece che le tecniche di computer vision tradizionali: è stato un momento chiave dell’incontro, durante il quale ho fatto appunto questa disamina e spiegato, spero in modo efficace, come e perché il ML, in questo caso, non sempre, batte le tecniche tradizionali.

Applicare il principio “Do not (cause significant) harm”

Preoccuparsi che oltre a risolvere il problema in esame il nostro approccio non causi dei danni (significativi) a nessuno. Questo è un principio di natura etica e qualcuno potrebbe anche pensare di non applicarlo, ma attenzione: se il nostro progetto causa dei danni significativi a qualcuno, questi potrebbe agire contro il progetto e magari anche, a torto o a ragione, farlo fallire.

Domande chiave della fase di esplorazione

In conclusione, alla fine della fase di esplorazione dovremmo essere in grado di rispondere (almeno) a queste domande:

  • Qual è il problema specifico che vogliamo affrontare?
  • Chi sono gli stakeholder (almeno quelli “chiave”, che comunque vanno individuati)?
  • Abbiamo accesso o possiamo acquisire i dati necessari?
  • Quali vantaggi porta la tecnologia proposta?
  • Cosa ci indicherà se il progetto ha avuto successo o no?
  • La soluzione che abbiamo in mente causa dei danni significativi a qualcuno? Questi danni possono essere mitigati?

Conclusione: pronti per il design

Solo a questo punto potremo affrontare efficacemente la seconda fase, quella del “design” della soluzione … ma di questo ne parleremo una prossima volta.

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