Il miglioramento continuo e la learning organization
Ascolta l'articolo
In un intervento precedente, descrivevo quelli che secondo me sono i pilastri informatici di una moderna industria manifatturiera (purtroppo mi tocca usare molto l’inglese, perché oramai certi nomi hanno assunto un significato specifico che non esiste in italiano …): machine learning, digital twins, ottimizzazione delle risorse e cruscotti. Vorrei provare ad allargare un po’ il quadro in cui si inseriscono le considerazioni fatte.
I concetti che meglio esprimono quello che penso sono quelli di miglioramento continuo e di learning organization; due concetti fortemente interconnessi: non c’è miglioramento continuo se non c’è contemporaneamente l’attitudine ad imparare!
Organizzazioni che Imparano
E qui, non stiamo parlando di macchine che imparano, ma di organizzazioni. Organizzazioni fatte di esseri umani, che è fondamentale che migliorino a livello personale, ma, questo è il punto, anche proprio come organizzazione in quanto tale.
L’Evoluzione del Percorso di Apprendimento
Tradizionalmente, si pensa che nella vita di una persona ci sia un periodo in cui si va a scuola, poi magari all’università e qualcuno, pochi, faccia anche studi superiori, per poi entrare nel mondo del lavoro, dove si utilizzano le competenze acquisite e le si mescola con l’esperienza. Questo, oramai, è sempre meno vero: al contrario, sempre di più ci si trova a dover imparare cose nuove, anche radicalmente nuove, alcune delle quali cambiano completamente il modo di lavorare, tanto che spesso si sente dire che i giovani sono meglio attrezzati delle persone più esperte, perché l’esperienza di queste non è più efficace.
Io, forse perché ho 65 anni, non la penso così, ma a patto che anche le persone esperte sappiano rimettersi in gioco, sfruttando la loro esperienza proprio per questo: ad esempio per distinguere cosa è veramente nuovo e cosa no, cosa veramente può avere successo ed essere utile e cosa no, ma comunque continuando ad imparare cose nuove, anche con l’umiltà di ascoltare ed apprendere dai colleghi più giovani.
Applicazione alle Organizzazioni
Il discorso può essere trasportato pari pari alle organizzazioni, soprattutto a quelle più complesse (alla fine, anche un essere umano è un’organizzazione parecchio complessa), come del resto tendono ad essere le moderne aziende manifatturiere. Il punto è che anche a livello dell’organizzazione si pongono le stesse sfide: nuovi concorrenti, nuovi prodotti, nuove esigenze, nuove metodologie produttive … il rischio di essere completamente buttati fuori mercato nel giro di pochi mesi è oramai studiato a livello accademico (permettetemi però di citare una canzone degli anni 70, demenziale già dal titolo: “38 luglio”, ma per certi versi premonitrice, in cui il protagonista aveva inventato la pila elettrica, ma il giorno dopo qualcun altro ha inventato le reti elettriche, spiazzandolo completamente).
Creazione di una Learning Organization
Ho già citato, ma vale la pena di riprenderlo, il motto di Andrew Clay Shafer (“you are either building a learning organization or you will be losing to someone who is”), ma ovviamente bisogna andare oltre: come fare per creare una learning organization, in particolare nel settore manifatturiero, dove giustamente si incontrano delle ben comprensibili resistenze, dovute proprio al fatto di aver accumulato molta esperienza.
Tecnologie a Supporto della Learning Organization
La possibilità di imparare nuove cose grazie all’ausilio del machine learning, della simulazione sempre più realistica dei nostri impianti, della possibilità di ottimizzare l’utilizzo delle risorse (sempre più importante mano a mano che si sviluppa lo coscienza di non poter distruggere il nostro pianeta) e quella di poter tenere sotto controllo con uno sguardo un sistema complesso sono cose che sicuramente possono dare una spinta in più alla nostra azienda.
Ma mi rendo conto che l’articolo è già abbastanza lungo … non disperate (:-)): spiegherò il concetto nei dettagli in una prossima puntata, magari scritta riposando al fresco sotto un albero nell’Appennino Tosco-Emiliano.
Speranze e Paure relative all’Intelligenza Artificiale
Ascolta l'articolo
Vorrei riprendere da un altro punto di vista il discorso delle speranze e della paura che ci può fare l’intelligenza artificiale.
L’Equilibrio di Andrew Ng
Me ne dà l’occasione un recente articolo di Andrew Ng, cui sono molto affezionato, sia perché cerca di mantenere un equilibrio molto difficile in un campo dove ci si muove tutti con molta difficoltà, sia perché in questo equilibrio mantiene comunque la “barra dritta” verso una visione positiva del mondo ed una (non credo mal riposta) fiducia nella capacità degli umani di dirigersi verso queste possibilità. Non certo da ultimo, molto di questo affetto dipende dal fatto che Andrew ha insegnato il machine learning a milioni (letteralmente) di persone, tra cui ci sono anch’io.
Il Caso Giudiziario e il Ragionamento per Analogia
Nell’articolo di cui parlo, Andrew parla dell’azione giudiziaria intrapresa da alcune “major” della musica contro OpenAI per trasgressione del copyright, molto simile a quella intrapresa a suo tempo dal New York Times. Non sto a ripetere le sue argomentazioni, ovviamente non univoche, sull’argomento, ma mi interessa rilevare due questioni che rimangono abbastanza sullo sfondo.
La prima è il ragionamento per analogia: quando si ragiona in un campo così poco esplorato come l’intelligenza artificiale, è abbastanza normale cercare dei punti di riferimento in convinzioni abbastanza consolidate. Un esempio di questo atteggiamento è la frase: “humans can learn from online articles and use what they learn to produce novel works, so I’d like to be allowed to use AI to do so”. Il problema è che procedendo allo stesso modo, ma da un altro punto di partenza, si può tranquillamente arrivare alla conclusione opposta: “gli umani non possono pubblicare una copia di articolo trovato online senza il consenso del detentore dei diritti, quindi non lo può fare neppure un agente AI”.
Come se ne esce? Ovviamente, e questo è ben espresso da Andrew, non è facile e nessuno ha ancora trovato una via.
L’Impatto della Scala di Utilizzo
Andrew argomenta su una seconda questione, che secondo me è fondamentale: “scale can change the nature of an act”. La capacità di eseguire una certa operazione a ritmi precedentemente impensabili rende di fatto inservibile l’analogia con le soluzioni trovate fino a quel punto per contemperare due diritti tra loro concorrenti, come quello di acquisire e rielaborare nuove conoscenze e quello di vedere riconosciuto il valore del proprio lavoro ed investimento.
Protezione del Bene Comune
Non posso che concordare, ancora una volta, con Andrew, sull’atteggiamento che propone se non per dirimere, almeno per affrontare la questione: bisogna ricordarsi che il motivo principale della nascita dei diritti di proprietà intellettuale è la protezione del bene comune, non di quello privato dei singoli (cosa che purtroppo si è molto persa nella narrazione “mainstream”). E, beninteso, non si tratta di “affamare” i produttori di contenuti, ma, al contrario, di proteggerli, proprio in vista del bene comune.
Conclusione
Ecco quindi l’indicazione che mi sento senz’altro di condividere: “Humans do lots of valuable work, and AI, used as a tool to automate what we do, will create lots of value. I hope we can empower people to use tools to automate activities they’re allowed to do, and erect barriers to this only in extraordinary circumstances, when we have clear evidence that it creates more harm than benefit to society”.
L | M | M | G | V | S | D |
---|---|---|---|---|---|---|
1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | |
7 | 8 | 9 | 10 | 11 | 12 | 13 |
14 | 15 | 16 | 17 | 18 | 19 | 20 |
21 | 22 | 23 | 24 | 25 | 26 | 27 |
28 | 29 | 30 | 31 |